Anni che discutiamo di modelli turistici, anni che provo a far capire che lo sviluppo non può essere solo portare gente o essere travolti da alluvioni di persone che basta che respirino e consumino ma cercare e trovare chi vogliamo, come vogliamo e soprattutto quando vogliamo

Anni sprecati dietro visioni dannose, inutili e dal futuro segnato, dietro tante parole e poche azioni, dietro l’illusione che il turismo sia la soluzione magica alla perdita di identità e allo spopolamento e contemporaneamente il bancomat delle comunità.

Perché basta una piazza piena di tavolini nelle città e i paesi, una folla transumante da sagra a sagra (o da museo a museo, che è quasi lo stesso) qualche articolo nella stampa straniera e noi siamo a posto, felici di essere i migliori nello storytelling della nostra fantasia bacata, tronfi del nostro ego e appagati dalla nostra inconsistenza disorganizzata ma ben posizionata sul mercato. 

E la cosa più grave è che questa sia una visione politicamente condivisa da qualunque appartenenza politica (eccetto qualche rara, virtuosa e sovversiva eccezione) perché la politica ama riempirsi la bocca di attenzione alle zone interne, modelli di sviluppo sostenibili, del lavoro, dei giovani e delle comunità per poi nelle azioni continuare a incentivare modelli città-centrici ed egocentrici che mostrano fallimenti evidenti in quasi tutte le realtà mondiali. 

Avremmo la possibilità di essere ispirazione e modello, di portare avanti un nuovo corso che partendo dalle persone, dalle comunità e dai territori diventi il fulcro di uno scambio di culture ed esperienze umane e dopo, solo dopo, ma molto dopo di esperienze con finalità turistiche.

La narrativa elitaria e tossica dei borghi e della cultura come alternativa alle mandrie buzzurre e invadenti del turismo di massa è tipico di questi tempi dicotomici, senza pensare che invece la soluzione sia il meno o il nulla se non il giusto anche se economicamente meno vantaggioso (perché non si può ridurre tutto al mero parametro economico, manco fossi scontrini che camminano).

Intanto io ci parlo ogni giorno con quelli che tentano di non essere costretti dalla fame ad andare via dai propri paese ma senza anche scuole, sanità e trasporti è difficile resistere.

Con quelli che magari vorrebbero aprirsi un’attività ma lo stato non ha la pazienza di aspettare contributi e tasse a meno che tu non sia un partito, una banca o una compagnia di bandiera.

Con quelli che hanno dei figli e li fanno andare via, lontano da questa nazione dove il merito è un apostrofo posa tra le parole ti sfrutto.

Anno di investimenti multimilionari nella glassa del marketing che copre l’inconsistenza di azioni che da decenni (DECENNI!) non creano nessun miglioramento se non nella carriera dell’assessore o ministro di turno.

Direi che forse è arrivato il momento di smetterla di perdere tempo, di ripartire dalle comunità, di ripartire dalle unità minime e le loro esigenze, i cittadini, costruendo intorno un modello di sviluppo che non sia l’ennesimo esercizio dialettico ma da una visione intelligente si scelgano, intercettino e disciplinino flussi di persone consapevoli.

Perché il turismo è nulla senza controllo.

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insopportabile

Ne ho le scatole piene, ma con eleganza.

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