Prendo spunto da una notizia dell’ennesimo immobile pubblico che diventerà un albergo di lusso nella mia città, Cagliari.

Al di là del caso specifico e del luogo assistiamo a una tendenza davvero particolare: la ricerca spasmodica di servizi, prodotti ed esperienze sempre più ritagliate per obbiettivi di mercato ad alta redditività.

Si cercano i ricchi, insomma, e non solo negli hotel 5 stelle e nelle boutique da carta di credito d’oro ma anche in tutti quegli aspetti quotidiani ai quali sempre meno facciamo attenzione.

Con un precedente post facevo notare le storture urbanistiche de “La rigenerazione dei centri urbani e la tavolinizzazione delle piazze.” che sempre più portano lo sviluppo dei centri urbani verso i desiderata dei cittadini temporanei in uno svuotamento di senso delle comunità accoglienti (fin troppo).

Ma siamo a un livello ancora superiore, qui. Perché anche nelle attività locali si privilegia una fruizione sempre più “esclusiva” e di “qualità” che rende volgare e banalotta una semplice esperienza.

Che sia ristorazione o svago, cultura o sport, tempo libero o formazione sembrano non esistere più gli spazi per esperienze normali ma, forse deformati dalla rincorsa ad essere speciali e visibili in questo mondo in vetrina digitale, siamo spinti a ricercare l’eccezionalità ed esclusività.

Andare a mangiare è diventata un’ascesi mistica verso il karma alimentare, una gita l’avventura per scoprire da novelli esploratori le gemme sconosciute, preziose e soprattutto inesplorate di un luogo, una mostra la retrospettiva esclusiva dell’artista di nicchia e così banalizzando.

In una ricerca della specialità che ci rende sempre più tutti uguali soprattutto nelle tasche sempre più vuote per servizi che oggettivamente di speciale spesso hanno solo il prezzo.

E paradossalmente è diventato da carbonari andare a mangiare un onesto e magari anonimo piatto in una trattoria, entrare mascherati per spendere pochi euro per un panino dal salumiere, comprare un vestito senza doverlo giustificare sui social, avere una esperienza normale in una vita normale senza che stupisca nessuno ma gratifichi magari in solitudine il fruitore.

I centri urbani stanno vivendo un momento di transizione importante, importanti luminari stanno provando a riscrivere le regole del vivere comune con anche imbarazzanti tentativi di rendere urbano l’extraurbano che vive benissimo con il suo senso.

Questo anche ai fini turistici senza diventare al contrario oggetto di transumanze turistiche senza senso che l’overtourism di questi ultimi anni ha purtroppo portato in evidenza.

Le città sono comunità e le comunità includono tutti: portare l’obbiettivo delle azioni verso una sempre maggiore redditività con il paravento della qualità (ed ora della sostenibilità) è pericoloso perché replica i meccanismi ghettizzanti dei quartieri degli anni 70.

Una riflessione strategica ed urbanistica è urgente, anche in funzione delle rigenerazioni urbane delle destinazioni turistiche prima che diventino parchi giochi per ricchi annoiati (residenti e ospiti) con coreografie adoranti di cittadini che ambiscono a quelle esperienze e purtroppo e inevitabilmente anche i tanti esclusi che rimarranno sempre più ai margini sotto i ponti non instragrammabili.

Ma anche che non diventino dispenser di esperienze low cost dove le batterie di polli (turisti e cittadini) fruiscano di prodotti e servizi senza un senso logico di esperienza umana gratificante.

Una via di mezzo dovrà pur esistere, prima che sia troppo tardi.

Immaginare le città non solo in funzione dei metri cubi da costruire ma dei minuti da risparmiare per vivere.

L’urbanistica del tempo dovrebbe essere la disciplina da seguire, al giorno d’oggi.

,
insopportabile

Ne ho le scatole piene, ma con eleganza.

Similar Posts
Latest Posts from insopportabile

Rispondi