Una tragedia enorme, devastante, di quelle che ti mette di fronte a domande, a rabbia, a reazioni di pancia e a mille perché.

Nel dolore e nella frustrazione della tua testa ti chiedi come sia possibile che nel 2018, in un paese come l’Italia, possano accadere dei disastri così assurdi.

Nello stomaco attorcigliato dalla rabbia ti chiedi il perché spesso in Italia senza le tragedie non siamo in grado di sistemare le cose.

Nel profondo dell’anima ti chiedi quanto il destino sia davvero un momento che ti cambia la vita o ti spinge giù verso la morte.

Poi ci sono i social.

Lì cambia tutto, le domande che ti fai nell’intimo, le parole che ti scambi con i parenti e con gli amici diventano pietre piatte da scagliare per smuovere la superficie e per vedere quante volte ci saltano sopra prima di affondare nell’indifferenza.

La rabbia alimenta il polemico che aggredisce chiunque, sputando parole di fuoco contro chi non ha fatto nulla perché ciò non accadesse, aggredendo le persone che provano a farlo ragionare, insultando istituzioni, soccorsi, società responsabili: deve sfogarsi, il bersaglio non importa.

Lo sciacallo che invece ama sfruttare le tragedie per mettersi in evidenza, come fosse una qualunque serata di Sanremo. Rilancia post, scrive frasi ad effetto per provare a toccare le corde dell’emozione del momento, rilancia post dei soccorsi citando personaggi visibili per avere evidenza di riflesso. Vive per l’ego, non capisce e non si rende conto di quanto sia palese e penosa la sua azione.

Il sensibile che inizia a condividere status drammatici, poi supporta campagne di solidarietà, chiede come stanno i suoi contatti nella zona, scrive e partecipa alla messa collettiva di preghiera social accendendo lumini RIP su hashtag digitali.

Il tuttologo che sa già di chi sono le colpe, dall’alto della sua esperienza da motore di ricerca e dei titoli acquisiti all’università della vita del Secondo Me. È ingegnere e geologo, costruttore e architetto, urbanista e trasportista. Sulla base delle foto e dei filmati scova particolari che avvalorano la sua teoria, senza incertezze e senza possibilità di confutazione. Ha ragione e chi non la pensa come lui ha qualche interesse da nascondere o è in malafede.

Il politico che ci deve essere, con una dichiarazione, un momento di contrizione e partecipazione social tra cui si distinguono i politici seri che si fermano a quello e quelli che decidono di ballare sui cadaveri postando contenuti al limite della decenza, deformando senza vergogna la realtà per accusare gli avversari, tirando fuori documenti e prove spesso inventati per inchiodarli a responsabilità e monetizzare il consenso.

Poi ci sono quelli che osservano e guarda attoniti in silenzio. Quelli che osservano una tragedia incomprensibile, squassante e toccante e pensano a quei morti, a quelle famiglie, a quel destino. Che osservano il circo delle persone che devono esprimere il proprio esserci nel partecipare in maniera pura e solidale o interessata. Che decidono di parlare quando si saprà meglio qualcosa e di esternare al limite piccoli, forse inutili ma sentiti, barlumi di solidarietà.

Ecco, sui social siamo tutto questo, spesso ogni persona ha dei frammenti di ognuno di questi a comporre una personalità complessa e articolata.

Anche io, per essere onesti e chiari. L’essere umano è fragile e spesso si fa prendere dall’emozione e poco dalla ragione.

Quindi nessun giudizio, per carità: ognuno in democrazia si può e deve esprimere nei limiti delle regole della Costituzione e della Legge.

I social sono uno strumento per comunicare, giusto e utile usarli anche nelle emergenze, magari soprattutto sul lato Protezione Civile con una funzionalità maggiore e con meno confusione comunicativa (ma questo è un argomento ciclico che dal 2013 riproponiamo con le medesime criticità).

Provare a usarli con più coscienza, senza farsi prendere dalla fretta di comunicare, dall’ansia da condivisione, dal torneo di ego a squadre, dalla smania di mostrare intelligenza su competenze che non si hanno dimostrando l’esatto contrario, dallo sfruttare il momento per secondi fini.

Questo servirebbe per vivere un confronto e un dialogo sociale e civile più misurato e utile.

Pensare prima di comunicare, se è il caso scrivere o condividere, se non è il caso non farlo.

Perché anche il silenzio sa essere uno strumento comunicativo potentissimo.

insopportabile

Ne ho le scatole piene, ma con eleganza.

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