Io mi ricordo quel giorno, in terza media: ero uno dei più alti della scuola, giocavo già a basket da tre anni ma rimasi affascinato da quel tappeto, da quell’asta orizzontale: provai a fare un salto in alto e mi sfracellai sull’asta.
Con il secondo andò meglio, al terzo superai la mia altezza.
Ai Giochi della Gioventù arrivai secondo dietro quello che poi negli anni sarebbe diventato il campione sardo ma ricordo anche che gareggiai nel getto del peso arrivando quarto.
Il basket però era il mio sport: un giocatore normale, guardia alta con un buon tiro ma troppo magro per poter ambire a carriere sportive degne di nota.
Però io senza il basket non sarei l’uomo e soprattutto il cittadino che sono.
Mi ha insegnato il sacrificio, il rispetto, l’accettare le sconfitte, le relazioni umane con persone anche complicate se non detestabili, le ingiustizie e le soddisfazioni, lo spirito di squadra e l’umiltà del farsi da parte per un obbiettivo comune.
Il rispetto dei ruoli e dell’autorità, il coraggio delle decisioni e anche il loro peso.
Ecco, lo sport mi ha insegnato tanto quanto la scuola, l’università, la famiglia. Erano una seconda famiglia.
E tutto per la folle visione di un sacerdote che determinazione e un pizzico di incoscienza decise di creare una società sportiva dal nulla in un quartiere dove non esisteva nulla se non un campo di calcio in terra battuta.
Il primo allenamento lo feci nel cortile delle scuola elementare con un pavimento di asfalto grezzo che ogni caduta ci lasciavi le ginocchia ma era bellissimo.
Oggi siamo tutti entusiasti dei risultati delle Olimpiadi, di quelle meravigliose storie di sacrifici e sport che solo lo sport rappresenta perfettamente come metafore di vita.
Perché è vita, forse la parte più bella, quella che insegna i valori di uguaglianza, rispetto e valore senza le sovrastrutture e lo storytelling tossico a cui purtroppo abbiamo fatto l’abitudine.
Per questo oggi è urgente ripensare la nostra società anche intorno allo sport, all’attività fisica come programma di salute mentale, fisica e sociale.
Immaginare investimenti straordinari in impianti sportivi di quartiere dai playground ai parchi attrezzati, dalle piste ciclabili a percorsi di trekking urbano, dalle palestre ai palazzetti, piscine e piste, campi di bocce e vela.
Investire negli atleti rendendo queste attività poco costose se non gratuite, investire negli insegnanti perché siano all’altezza del compito di formare i nuovi cittadini.
Lo sport deve diventare un diritto perché è uno dei pilastri su cui si fonda la nostra società.
Perché fin da piccoli abituarsi a quei valori, condividerli e vivere una vita più completa, consapevoli dei propri limiti e della società di persone nella quale viviamo deve essere una priorità.
Ci sono sport più popolari che si prendono la fetta più grande dei finanziamenti (il calcio ma non solo) ma non si può sempre ragionare in termini numerici o peggio di valore economico: i parametri dello sport sono altri, più vicini a quelli della cultura e della medicina che a quelli della economia.
È urgente cambiare passo, per la nostra salute sportiva, per la nostra salute di nazione.
Dare centralità alle comunità, dare importanza alle persone soprattutto in quei contesti dove è complicato anche solo andare a scuola o mettere su il pranzo con la cena.
E magari, forse, un giorno, se…