Periodo di fine estate passato tra degustazioni di vino e vendemmie perfetto per raccontare con la dovuta calma un evento che mi ha lasciato parecchi pensieri e come un buon vino ha avuto bisogno di tempo per dargli il giusto valore.

Sabato 28 giugno ho partecipato come relatore al convegno di apertura de Le Notti del Vino, organizzato dal Comune di Dorgali presso l’Acquario di Cala Gonone. Un evento nato con l’intento di mettere al centro il vino non solo come prodotto da promuovere, ma come chiave di lettura culturale, territoriale e relazionale.

Il mio intervento, dal titolo “Il turismo del vino tra performance e simulacro”, ha voluto aprire un dibattito critico su come stiamo comunicando — e vendendo — l’esperienza enoturistica oggi.

Ho scelto un po’ provocatoriamente di evocare Dioniso, dio dell’ebbrezza, per richiamare la natura profonda del vino: non solo prodotto agricolo ma elemento di trasformazione, di contatto ma anche di gioiosa e mai violenta perdita del controllo. Un’idea che pare si sia smarrita nel momento in cui l’enoturismo è diventato invece uno show ordinato e instagrammabile, perfettamente confezionato.

A partire dal concetto di “simulacro” di Baudrillard — ovvero una copia senza originale, un’imitazione che ha perso il legame con ciò che era vero — ho provato ad analizzare il modo in cui il vino oggi viene spesso rappresentato, cioè esperienza impeccabile, patinata, performativa, destinata più alla fotocamera che al palato.

E da qui è scaturita naturale una domanda: stiamo ancora raccontando il vino o abbiamo iniziato a recitarlo? La visita in cantina è diventato rituale replicato dove tutto è al proprio posto: la botte pulita, la tovaglietta ricamata, la frase a effetto in una coreografia perfetta ma dove quasi sempre manca il disordine fecondo del gesto agricolo, il suo racconto vero, la voce del produttore nel giorno in cui la vigna chiama più del marketing e dello storytelling.

A supporto del ragionamento, ho citato alcuni dati del Rapporto sul Turismo Enogastronomico 2024:

  • quasi 15 milioni di turisti coinvolti in attività enoturistiche in Italia ogni anno;
  • un impatto economico stimato in oltre 2,5 miliardi di euro, con un trend in crescita;
  • un cambio di paradigma in atto: cresce la domanda per esperienze relazionali, autentiche, spontanee. Non format, ma incontri.

Ho concluso con un invito: disinnescare la performance, abbandonare l’ansia da perfezione e tornare a generare esperienze vere, magari meno fotogeniche, ma più umane. Perché il vino, se è davvero buono, non ha bisogno di effetti speciali.

E alla domanda su quale azione concreta suggerire per un enoturismo più autentico, ho risposto così:

Lasciate che il turista incontri davvero il produttore, anche nei giorni in cui la cantina è in fermento e la sala degustazione è da sistemare, non solo nelle degustazioni preparate in cantina: l’imperfezione, se sincera, vale più di mille scenografie perfette.

Dopo gli interventi istituzionali e accademici ci siamo spostati nella sala conferenze dell’Acquario, dove si è tenuta una degustazione guidata di alcuni vini locali. Protagoniste le cantine di Dorgali, con una selezione rappresentativa delle produzioni identitarie del territorio.

🍷 Tra i vini in assaggio:

  • il Panzale della Cantina Berritta, vitigno autoctono recuperato con cura, proposto in versione bianca fresca, sapida, profondamente territoriale;
  • il Brintziri della Cantina Podere 45, giovani ma già solidi nel racconto di una viticoltura che non cede alla standardizzazione e che prova a parlare con la voce del luogo, non dell’etichetta.

Un momento magnifico è stato ascoltare “Berritta” grande conoscitore e parte della storia della Cantina di Dorgali che sulle sfaccettature spesso esagerate delle caratteristiche del vino ha sentenziato il suo metodo “distinguo il vino in due categorie: quello che mi piace da quello che non mi piace”.

Dopo la visita all’acquario, ci siamo ritrovati all’aperto per un momento conviviale più disteso: una degustazione enogastronomica con musica dal vivo, dove si è potuto dialogare direttamente con i produttori e gli altri relatori. È stato in questo contesto che si sono create connessioni vere, domande senza microfono, racconti autentici che hanno arricchito il senso dell’intera giornata.

In chiusura, una riflessione:

Ci vuole pazienza per coltivare la vite. Anni per preparare un vino che meriti prima il bicchiere di chi lo gusta e poi il suo racconto. Così dovrebbe essere anche l’enoturismo: una pratica agricola, più che commerciale: da curare e non da lanciare come uno spot, da attendere e non da forzare come un’offerta speciale da supermarket.

Un ringraziamento sincero all’assessora Sonia Mele per l’invito, alla moderatrice Letizia Marongiu per le domande puntuali, sempre grazie a Carla Spanu per essere incipit di cose magnifiche e a tutte le persone incontrate: eventi come questo dimostrano che il vino può ancora essere leva di pensiero, catalizzatore di comunità e non solo vuota promozione copia incolla da marketing patinato.

insopportabile

Ne ho le scatole piene, ma con eleganza.

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