Non sono mai stato un genio o un secchione: iniziai a leggere per piacere, amavo immergermi nelle storie fin da bambino. Ho studiato il giusto, ho preso la mia laurea con grande fatica ma anche enorme soddisfazione. Continuo ogni giorno a essere curioso in quello che faccio, con la voglia di imparare e migliorarmi. Nel lavoro non ho mai dato nulla per scontato e ho sempre provato a migliorare le cose. Dipende dal carattere, dall’esempio dei genitori, dalle scuole frequentate, non lo so.

In questi complicati anni da studente, studente-lavoratore, lavoratore e lavoratore-studente ho sempre avuto la convinzione che l’impegno prima o poi venisse comunque premiato. Perché anche la società, con le storture inevitabili di una nazione giovane e corrotta, aveva come modello questo: chi merita perché dimostra di essere migliore ha il diritto di essere preferito a chi merita di meno.

Oggi invece è tutto tragicamente diverso.

Un processo iniziato decenni fa (non oggi, decenni fa) ha pian piano sgretolato questo sistema, sminuendo il valore dello studio, della formazione e dell’impegno meritocratico a vantaggio della esperienza sul campo, della popolarità, del danaro come metro di giudizio sociale, dell’apparenza, delle scorciatoie e degli opportunismi.

Oggi quindi avere studiato è non aver compreso come funziona il mondo, è aver perduto stupidamente gli anni migliori della propria giovinezza nell’acquisire nozioni, metodo e competenze che saranno valutate come irrilevanti dalla società.

Aver minato il già traballante criterio meritocratico della nostra società ci ha quindi portato a un sistema che sta crollando su se stesso, dove qualunque persona può arrivare ai ruoli chiave senza averne competenza, responsabilità o almeno coscienza. Una società che avalla la furbizia e la prevaricazione rendendo la società stessa più povera e di fatto meno competitiva.

Perché la crescita di una società è equilibrio delicato tra ispirazione e azione, tra ricerca e pratica, tra studio ed esperienza.

Disgregare questo equilibrio porta a un modello sbilenco senza futuro, un declino inesorabile dove sempre più la de-meritocrazia porterà incompetenza, corruzione, insofferenza sociale e alle regole.

Oggi ne vediamo l’inerzia diventare sistema, semplicemente.

Chi si stupisce oggi probabilmente era distratto negli ultimi 30 anni o forse non ha voluto vedere perché immerso nel sistema stesso.

In questo deprimente contesto siamo arrivati al paradosso che i titoli siano vergogna da nascondere, l’università un divertimento per ricchi perditempo, concorsi e selezioni inutili pratiche.

La furbizia, la sensazione che ogni lavoro possa essere fatto bene senza preparazione ma con impegno ed esperienza e il conseguente svilimento delle professioni diventa sistema, ovviamente supportato da chi non ha accesso o non vuole impegnarsi nei lunghi e faticosi percorsi di formazione e studio.

Stiamo diventando la società del “secondo me” in forza del quale ogni visione, strategia e azione può essere realizzata senza nessun percorso formativo.

È sufficiente un ragionamento, farsi trasportare da una sensazione, da un sentito dire, dall’esperienza diretta che supplisce a tutto e il gioco è fatto.

E gli sventurati pitocchi che hanno studiato passano come gli invidiosi che non sopportano questo sistema sì davvero “meritocratico” perché davvero permette accesso a tutto e a tutti senza ingiustizie.

Ecco, io dico che tutto questo passerà, prima o poi.

Ci si renderà conto di quanto la competenza sia un valore, di quanto la formazione sia un valore, di quanto il merito sia un valore.

Ci si sveglierà un giorno in un paese di macerie sociali, di congiuntivi pericolanti e di strade per il futuro disseminate di buche e si capirà come fosse tutto sbagliato.

E allora ai bambini insegneremo di nuovo a sognare con un libro, a impegnarsi a scuola perché solo così la nostra società migliori, a rispettare il prossimo perché solo così dimostriamo di essere diversi dagli animali.

Quel giorno dipende da noi, da quanto in questo momento sia importante non vergognarsi di aver studiato, di aver perso tempo dietro libri ed esami, di aver fatto esperienza sudando e formandosi di continuo, di aver dato fiducia alle persone per merito.

Perché la colpa altrimenti sarà anche la nostra.

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insopportabile

Ne ho le scatole piene, ma con eleganza.

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3 Comments

  1. Non solo, aggiungiamo anche che nel resto del mondo il valore dello studio è (quasi ovunque) ancora tenuto in grande considerazione. Per cui mentre da noi fioriscono le mamme informate e i ricercatori indipezzenti nel resto del pianeta si va avanti, si progredisce e di conseguenza rischiamo di venir presto sorpassati a destra (con gesto dell’ombrello annesso). Diventando irrimediabilmente subalterni a qualcuno per l’eternità. Perché da soli non ce la faremo più.
    Eeeeh, però il patrimonio artistico, il paesaggio, la buona cucina… certo, certo…

    1. Esattamente il rischio concreto è quello. Svilendo il valore della formazione ci si ritrova a rimanere fermi come nazione. E non basta dirsi che siamo la nazione più bella del mondo perché lo saremo per sempre ma saremo anche la più tonta.

  2. io non mi vergogno, giammai, di aver fatto fisica, ma è un dato di fatto che non ci sono spazi per tutti i laureati. Mi guardo intorno e vedo gente nell’ambito dove lavoro ora (consulenza informatica) più giovane di me, con il triplo dell’esperienza in ambito lavorativo, e ovviamente con la sicurezza economica maggiore e stipendio più alto. Ripeto, l’università mi è piaciuta, ma poi uno due conti della serva li deve fare, mi è convenuto? No, ma non solo per lo stare indietro rispetto a altri dal punto di vista delle abilità e dello stipendio, ma anche della felicità, cioè una persona che ha studiato una materia e poi fa tutt’altro perché questo offre il mercato secondo te è felice? La risposta è al 100% no

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