Sarà la frizzante arietta di elezioni imminenti, sarà l’estate e le decine di articoli fotocopia sul turismo come unica speranza di sviluppo, sarà perché il turismo è diventato argomento di tendenza soppiantando selfie al mare e gossip da ombrellone ma è certo che si discuta tanto, di questi tempi, di futuro della Sardegna.

Di un futuro che deve puntare sulla identità, sullo straordinario patrimonio ambientale e culturale, sul patrimonio di biodiversità, agro alimentare e paesaggistico oltre il marino balneare per (rullo di tamburi, anzi melodia di launeddas) destagionalizzare.

Di un futuro che sembra debba puntare sul turismo come dio salvatore in questo mondo cattivo e ingrato.

Ed arriva la puntuale intervista di Flavio Briatore che da imprenditore della Costa Smeralda racconta di come

«Il turismo è la vera industria, stop ai vincoli sulle coste sarde» e   indica la ricetta per il rilancio della Costa Smeralda, porta dell’isola: 2mila posti in più e via libera alle costruzioni nella fascia dei 300 metri

Oppure della intenzione di attirare i pensionati stranieri con politiche di defiscalizzazione stile Portogallo.

Oggi addirittura l’intervista a Daniela Santanché che rispolvera una metafora turistico fossile sempre attuale, il turismo come petrolio della Sardegna (che vista la presenza della raffineria Saras non è neanche così assurda).

Ammirevole l’attenzione dei media e dei guru occasionali o consolidati che indicano strade per lo sviluppo che avrebbero bisogno di un approfondimento, quantomeno, al di là della divertente occasione del far parlare anche un po’ di sé.

Proviamo a capire meglio.

La Sardegna è una destinazione principalmente balneare che lavora non più di due mesi l’anno. Il Billionaire di Briatore, ad esempio, da lunedì sarà chiuso.

Ora mi chiedo se abbia senso aumentare la capacità ricettiva della Costa Smeralda se poi dal 27 di agosto le attività chiudono. Forse provare ad allungare la stagione avrebbe senso, a meno che non si voglia invece far arrivare molti più turisti con capacità di spesa alta nei due mesi per aumentare la redditività. Ci può stare, ma il costo non può essere sempre dell’ambiente.

I volumi si pagano, magari con una concessione trentennale a canone per poi ritornare di proprietà della Regione.

Aumentare i volumi solo per aumentare il carico urbanistico e avere alti numeri di presenze ma basse ricadute economiche sul territorio lo trovo politicamente un po’ miope. E non basta la ricaduta nei servizi di accoglienza (manodopera, derrate, manutenzioni, arredi e noleggi) ma anche nel trovare forme equilibrate di turismo che non siano solo ciò che il mercato di alta capacità di spesa richiede. È sacrosanto che gli alberghi già esistenti per rimanere nel mercato possano essere messi in condizione di riammodernarsi con servizi che ormai sono commodities ma non a discapito di un ambiente già allegramente compromesso.

Altra questione è la generalizzazione dell’urbanistica. La Costa Smeralda non è Porto Pino, Chia, la Nurra, l’Ogliastra.

Soprattutto la Sardegna non può essere continuamente considerata una ciambella con il vuoto dentro.

Esistono i territori interni, sempre più meta di un turismo attento, curioso, con ricadute economiche importanti e a basso impatto. Ecco, l’espansione urbanistica non può pensare di normare con uno stesso articolo il mare, le campagne e il mare non distinguendo le specificità.

Per capirci, la forte antropizzazione della Costa Smeralda ma anche della costa sud est non è logico che abbia la stessa normativa (percentuali di ampliamento, distanze, indici di copertura e via discorrendo) di zone completamente selvagge come la Nurra o la costa Ovest.

Il turismo non è petrolio, è un’idea.

Una idea intorno alla quale raccogliere economie, risorse, servizi, attività, immobili, trasporti, ambiente, identità.

È una modalità di apertura al mondo, di scambio, di conoscenza.

E non può nascere quindi da un solo modello ma da un multi modello prima culturale e poi economico.

Briatore ha ragione, la Santanché ha ragione, io ho ragione, tutti abbiamo ragione.

Ma fino a quando ragioniamo ognuno per il suo interesse e modello particolare tentando di farlo diventare il modello di riferimento abbiamo tutti torto.

Il turismo è incontro, fatica, umiltà, confronto, passi indietro.

Fino a quando continueremo a ragionare e cercare la formula magica saremo condannati all’irrilevanza.

E a leggere anno dopo anno le solite parole (comprese le mie) di chi racconta una enorme e ormai tradizionale occasione perduta.

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insopportabile

Ne ho le scatole piene, ma con eleganza.

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