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In una vita sempre più complicata,

immersi sempre più in un mondo globale e vischioso,

contaminati e spesso infettati dalla vita degli altri,

i social hanno abdicato da tempo dal ruolo  di strumento.

Sempre più la politica e la discussione civile avviene e si crea nei social

e l’inerte strumento diventa esso stesso parte integrante della discussione,

in una autoreferenzialità al limite dell’onanismo digitale.

I social propagano idee dopo averle incubate,

possono essere infinitamente utili quanto drammaticamente dannosi.

Ecco, più che uno strumento somigliano a un virus.

Può servire a creare gli anticorpi e renderci più forti e pronti per il dopo

o può farci cadere stecchiti nella prima vera epidemia digitale della storia.

insopportabile

Ne ho le scatole piene, ma con eleganza.

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0 Comments

  1. E’ molto interessante quello che scrivi, il rischio esiste (non so se Henry Levy l’abbia previsto). Il problema rimane, secondo me, la possibile passività dei modelli di pensiero e degli approcci alla conoscenza che devono rimanere una opportunità “multifattoriale”. E’ il senso che costruiamo intorno all’idea di vita, di società e del mondo in cui vogliamo vivere: il web vive di noi…noi non viviamo di solo web…

  2. sì, è l’atteggiamento, le idee e la personalità di chi utilizza lo strumento a qualificare l’utente, in genere; ma il web utilizza parole e le parole sono prodotto della mente umana, forse l’unico (o uno dei pochi) strumenti che mentre viene usato in un certo senso “usa” il suo utilizzatore, anche, e non solo il destinatario … non so s’è chiaro, ma post e commento sono ottimi spunti, grazie!

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